C’è un tempo per ogni cosa. E che Footloose sia! 

Oggi ho imparato che… “C’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo: un tempo per ridere, un tempo per piangere, un tempo per soffrire e c’è un tempo per danzare…“. 

Se una sera per caso (ma no troppo) vai a Milano al Teatro Nazionale Che Banca! a vedere l’anteprima di Footloose con un’amica, realizzerai che anche per te c’è un tempo per ridere, un tempo per pensare e un tempo per piangere, ma che per fortuna il tuo tempo per danzare (o ballonzolare) non è ancora finito.

Che c’è un tempo per ridere te ne renderai conto dopo aver ceduto il tuo posto in seconda fila per finire in prima proprio sotto il palco, in un posto ancora più figo del precedente, da dove riuscirai a guardare tutto il musical da una distanza così ravvicinata che mai avresti sperato. Sorriderai benevola guardando il giovane protagonista che, contro il bigottismo dei cittadini del piccolo paese di Beaumont, vuole essere libero di godersi la sua gioventù a ritmo di Musica. Musica rock, per la precisione, e Musica Italiana per l’occasione. Sorriderai guardando i performer del musical cantare e ballare ad un ritmo e con un’energia così trascinante che non potrei fare a meno di muovere il piedino e le spalle felice come una bambina.

Che c’è un tempo per pensare te ne renderai conto alla fine dello spettacolo, quando realizzerai che per tutta la durata del musical non hai fatto altro che ripensare al film visto e rivisto a 15 anni: a Kevin Bacon (già visto in Sentieri), Lori Singer (la violoncellista di Saranno Famosi) e Sarah Jessica Parker (che sarebbe diventata Carrie di Sex and the City) che allora ti facevano ballare sulla sedia, ma che che poi non hanno mai smesso di piacerti anche se ora hanno qualche anno in più. Penserai alla tua voglia di ballare sulle musiche Anni Ottanta di un film cult che ha segnato l’adolescenza dei nati tra la fine degli anni Sessanta e i primi Anni Settanta, anche se a ballare e cantare sul parco c’è un cast la cui età media (ommioddio!) è la metà della tua! E realizzerai che in fondo il tempo passa per tutti e anche se i tuoi anni non sono più 15, chissenefrega, per una sera i 15 anni tornano, eccome!

E che Footloose sia!

Ma che c’è anche un tempo per piangere te ne renderai conto al termine della serata, dopo essere stata in macchina a chiacchierare con la tua amica senza sapere che tangenziale e autostrada sarebbero state chiuse a tratti. E scoprirai definitivamente cosa significhi ‘tempo scandalosamente infinito’. Ossia quello che ci metterai per tornare a casa da Milano nella bassa bergamasca se la tangenziale è bloccata per lavori da Viale Certosa a Cormano e sei costretta a proseguire verso Varese e poi su vari raccordini fino a Sesto, e se una volta arrivata sulla A4 anche la tua uscita dall’autostrada è bloccata per lavori e ti toccherà circumnavigare la Lombardia per ore scoprendo strade di cui ignoravi l’esistenza.

Ma, ancora una volta, che Footloose sia!


Scusa, perchè hai il naso storto? 

Oggi ho imparato che…

Un giorno per caso ti svegli e realizzi che spesso i ricordi nella vita si rincorrono, anche quando sono immaginari.

Qualche settimana fa sono andata dai miei a recuperare il famigerato “baule delle cose scritte’, con tutti i miei diari dal 1985 al 1995. Mio padre riconsegnandomelo mi ha detto che avrei potuto scriverci un libro. Aveva ragione.

Quel baule contiene quasi 3000 pagine scritte (all’inizio a mano e poi col PC), che raccontavano episodi vissuti pensieri, riflessioni, dialoghi, coi vecchi compagni del liceo, professori di università, colleghi, amici…

In quel baule ho riletto episodi della mia vita che avevo dimenticato. Le pagine più divertenti sono dei tempi in cui facevo l’istruttrice di nuoto, a Milano, tra i 19 e i 25 anni. Lavorare in piscina non era il mio sogno, anzi, l’obiettivo era di fuggirne il prima possibile e diventare giornalista. Ma non era facile. Avevo iniziato sfruttando la via degli archivi editoriali dopo un master in documentazione, ma riuscire a farsi commissionare un pezzo era difficile e a volte dovevo bussare alla porta di almeno 10 capi-redattore prima di convincerne uno. La piscina era quello che mi permetteva di inseguire il mio sogno scrivendo anche per poche lire, pagarmi l’università ed essere mediamente indipendente. Anche se non era il mio mondo di approdo, era comunque un microcosmo meraviglioso, pieno di persone e storie straordinarie da raccontare. E io le scrivevo tutte.

Quanti ricordi! Ho passato ore a rileggere quei fogli. Una risma in particolare, scritta col primo PC “trasportabile” Mac, a cui avevo tentato già allora di dare una forma di romanzo è quella che mi ha colpito di più: ci sono passaggi talmente divertenti che non sembrano nemmeno veri. Alcune cose mi tornavano alla mente, altre invece non riesco proprio a visualizzarle e mi fanno venire il sospetto che siano solo”finzione letteraria”.

Un episodio in particolare mi sta facendo rompere la testa. Sono ore che sto cercando di capire se il momento in cui uno dei miei colleghi di vasca (un biondino con gli occhi azzurri che piaceva a tutte e di cui ero stata a fasi alterne amica e nemica) si era confidato con me raccontandomi di come qualche anno prima, giocando con un suo amico, questo gli aveva rotto il naso con una gomitata, era vero oppure no.

E’ un dialogo di un paio di pagine: botta e risposta. Nessuna descrizione del luogo e del momento. Tutto ridotto all’osso. Solo la conversazione tra lui e me. Su quelle paginette avevo riportato la descrizione di un colpo secco sul naso con il gomito, del dolore lancinante, dello svenimento, del sangue e il mio commento finale su quel naso storto.

Buio. Quello che avevo scritto era avvenuto per davvero o mi ero inventata tutto? Millemila domande si susseguono: davvero gli avevo chiesto perché il suo naso virasse a destra? Davvero lui mi aveva raccontato tutta la scena? Davvero era svenuto? Davvero gli avevo detto che in fondo il suo naso dava carattere a un viso che altrimenti sarebbe stato solo perfetto? Io non me lo ricordo. E continuo a non ricordarlo anche se mi sforzo.

Cerco di usare la tecnica della visualizzazione: dove avrebbe potuto essere avvenuto quel dialogo? Eravamo forse seduti sulla panca di mattoni, sotto la palestrina? Eravamo in piedi a bordo vasca? Buio. Buio. Buio. Non ricordo. E mi sembra così strano tutto il dialogo, a partire dal fatto che iniziai proprio chiedendogli come mai avesse il naso storto. Perché non è che parli con qualcuno e poi all’improvviso gli chiedi “Ehi, scusa, come mai hai il naso storto?” Deve essere lui a dirtelo di sua spontanea volontà. E ci deve essere un motivo per arrivare a parlare di quel naso, ci deve essere un appiglio, ma nel dialogo che trovo nelle pagine del diario c’è solo la domanda di attacco: “Come mai hai il naso storto?” seguito dalla sua spiegazione con dovizia di particolari fin troppo splatter per i miei gusti.

Alla fine mi scappa da ridere. Leggendo i ricordi si rincorrono. Si rincorrono e diventano altri ricordi.
Ed è il caso del ricordo vivissimo di un sogno fatto una notte di almeno un decennio dopo aver scritto quel dialogo sul naso rotto ed essermene dimenticata. In quel sogno c’era Jovanotti, il mio primo “fidanzato immaginario”. Eravamo al Parco delle Rose, discoteca della movida milanese fine anni ottanta, seduti ai tavolini del bar a parlare. Albeggiava ed erano rimasti poche persone. Come in un film il mio sguardo si era appoggiato su tutta la discoteca, poi sulla sua moto parcheggiata all’interno accanto a quella di altri VIP e poi noi due, io e Jovanotti, seduti. Io ad un certo punto gli chiedo: “Come mai hai il naso storto?” Lui fa una pausa, mi guarda serio e mi racconta di quando un suo amico, giocando, glielo aveva rotto con una gomitata. Ricordo che mi aveva descritto il dolore, il sangue, lo svenimento, il risveglio con il naso che pulsava, il gonfiore e gli occhi pesti… Mi ero svegliata di colpo e quel sogno era rimasto sospeso dentro di me per tanto tempo e, in qualche modo, ogni volta che vedevo il naso di Jovanotti, avevo la sensazione di sapere come se l’era rotto.

Solo ora però realizzo che il mio amico (prima) e Jovanotti (poi, nel sogno) mi avevano raccontato di essersi rotti il naso nello stesso modo. Sarebbe bello scoprire se in tutto questo a partire dai loro nasi storti c’è qualcosa di vero o è tutto immaginario.