Follow Deejay in via Massena

Oggi ho imparato che
Un giorno per caso puoi finire con tuo figlio al FollowDeejay, pubblico in studio della trasmissione Deejay Chiama Italia,  puoi avere un cellulare in mano e anche se chiedi il permesso di fotografare e ti rispondono ‘certo, puoi fotografare tutto quello che vuoi!’, puoi tornare a casa con un decimo delle cose che avresti voluto immortalare.
Vuoi sapere perchè? Io lo so.

Ecco:

Perché ci sarebbe voluto del coraggio e anche il dono dell’ubiquità per fotografare:
Linus quando si avvicina per parlare con te e ce l’hai a 55 cm di distanza che puoi persino sentire che odore ha (buono) e tu hai la consapevolezza di avere un sorriso ebete che però non riusciresti a smontare dalla faccia nemmeno con un cacciavite. E non gli puoi certo dire: ‘Scusa, tu parla del più e del meno che io ti fotografo da vicino, così poi tutti finalmente ci credono che abbiamo parlato di qualcosa che non sia la corsa. Ma non per te, per me. Visto che ormai tutti mi prendono in giro che parlo sempre di corsa‘.
Linus che parla con Aldo Rock di qualcosa di molto triste come la morte di una triatleta di cui tu sapevi molte cose perchè da qualche giorno leggevi i tweet e i post di tutti i tuoi amici appassionati della Triplice.  Perchè sarebbe davvero stato molto brutto fotografare un momento così intenso: nello sguardo di Aldo Rock c’era tutta la sofferenza di un Ironman che scopre che una ‘sorella di sport’ è mancata mentre si stava allenando e riprenderlo sarebbe stata davvero una deplorevole mancanza di tatto e di rispetto;
le matite colorate sul tavolo davanti alla postazione di Linus perchè non hai mai capito bene a cosa gli servano in trasmissione, perchè ci sono davvero e sono davvero tutte colorate e appuntite; ma lui era lì e c’era il rischio che lo vivesse come una vera invasione, come se stessi fotografando la mania del mio personaggio radiofonico preferito;
la tua faccia (e qui avresti dovuto essere qualcun altro) quando Linus ha letto il commento di un telespettatore sulle tue gambe e tu non capivi come fosse possibile che da casa ti vedessero le gambe quando eri stra-certa di essere ripresa a mezzobusto (E basta!). Perché ti sei resa conto in un nano-secondo che avrebbe potuto sembrare un rimprovero, che forse sarebbe stato meglio mettere i pantaloni, ma la mattina quando avevi deciso la mise da indossare  non ti era venuto in mente che saresti stata un’ora su un trespolo e che avresti rischiato l’effetto ‘Alba Parietti’.
la faccia di tuo figlio mentre Nicola Savino diceva che voleva saperne di più di lui, perché tu sapevi che in quel momento lo stava conquistando e che per una settimana il pargolo avrebbe camminato a 10 cm da terra per l’orgoglio di essere stato in radio (e tv) e che questa esperienza l’avrebbe raccontata nei secoli dei secoli. E sai anche che d’ora in avanti Savino sarà il suo idolo perché si è fermato a parlare con lui al termine della puntata in modo sincero. E speri che andando via abbia capito che il tuo grazie alla fine era di sincera gratitudine per tutta l’attenzione e la gentilezza dedicata a tuo figlio. E prima o poi gli cinguetterai un ‘grazie grazie grazie’
il foglio degli appunti di Aldo Rock, quello che De Marco gli ha raccomandato nel fuori-onda di leggere e non dimenticare e che poi per fortuna hanno messo su FB, perché mentre la leggevano eri rimasta rapita dalle parole e dal senso di quelle frasi.
la faccia di Linus quando Aldo Rock diceva a Farolfi che ormai non gli avrebbe più detto qualcosa che non hai capito bene cosa; quando il Calandro si lamentava che gli tagliano’gli attacchi belli delle canzoni‘, ‘che ‘Farolfi toglie troppo‘ ‘che un bravo scultore è colui che toglie poca pietra‘ e Farolfi scuoteva la testa. Perchè mentre li guardavi hai notato che Linus rideva dentro e non interveniva, e tu avresti dato non so cosa per leggere dentro quella testolina; .
tu e Aldo Rock che vi stringete la mano, ma non per quello che aveva detto a Farolfi (perchè secondo te non aveva ragione) ma perché speravi che si fermasse a fare una foto con te; una foto che avresti mandato a tutti i tuoi amici ironman che come te lo adorano; mentre invece lui è scappato via subito e tu sei rimasta come un soldo di cacio con il sorriso di uno smile giallo stampato sopra
tu e Farolfi che vi stringete la mano (perché avete amici in comune e gliel’hai voluto dire) ma nessuno era nelle vicinanze e non osavi chiedere di fare una foto col regista della trasmissione da mandare ai tuoi amici. Sarebbe stato davvero troppo.
la tua faccia con la bocca aperta e gli occhi spalancati, quando la Patitucci (Alessandra, carinissima e davvero gentile) raccontava alle altre che metteva le fiale per non perdere i capelli e la truccatrice (che era entrata a togliere il trucco a Linus) le ha detto di stare attenta a non toccare il liquido con le mani perché al suo parrucchiere erano cresciuti i peli sulle braccia dopo aver messo a mani nude le fiale alle clienti ed essersi grattato gli avambracci. E tu guardando la faccia della Patitucci hai immaginato che si visualizzasse sgomenta con le braccia piene di peli come quel parrucchiere. E dopo un primo istante in cui avresti voluto rassicurarla che non le sarebbe successo nulla di tutto ciò, non potendo inserirti nella conversazione, hai dovuto allontanarti sennò saresti scoppiata a ridere fino alla fine del mondo!
la redazione alle spalle della regia dove leggono e vedono tutto e dove sai che ogni tanto in passato hanno letto pure i tuoi commenti postati sulla pagina di DJCI;
lo studio visto dalla postazione di Linus per provare come si sta al posto di comando, perché a te piacciono i posti da cui si vede tutto ed è per questo che al ristorante scegli sempre la sedia spalle al muro che domina la sala;
lo studio dalla postazione di Savino per vedere quello che vede lui;
lo studio dalla postazione di Matteo Curti per vedere cosa guarda sul monitor quando nessuno gli fa le domande;
Matteo Curti che dal vivo sembra giovane giovane, perché ti è simpatico da morire e perchè ha una fidanzata che su twitter ti fa ridere un casino. Ma sarebbe stato sconveniente dirgli tutto questo;
Mauro De Marco che dal vivo sembra la metà di quello che appare in foto e sui Social. Lui è un autore ‘molto forte’, ma non si può esordire così perchè sarebbe stata la classica frase alla Mara Maionchi che avrebbe portato le mie quotazioni al livello ginocchio e quindi basse, molto basse.
E a pensarci bene non importa se hai fatto solo 19 foto e di queste solo 9 sono salvabili, perché tutte le altre cose che avresti voluto fotografare le hai viste e vissute davvero. E te le ricorderai per sempre. E se le ricorderà per sempre anche tuo figlio e questa è una cosa meravigliosa. Anzi tutto è meraviglioso.
Tranne la tua faccia, perché quella che durante la trasmissione avevi solo immaginato, quando la vedrai in replica, la sera, ti farà svenire dalla vergogna, più del commento sulle tue gambe del telespettatore che per fortuna hanno tagliato.
Ma va bene così.

We had a great day!

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[La vita è un sogno?]

Un giorno per caso ti svegli e realizzi che se tutti contassimo fino a 10 prima di parlare le nostre conversazioni sembrerebbero dei collegamenti televisi col ritardo audio. E se tutti contassimo fino a 100, come ti sei ritrovata a fare prima di rispondere ad un amico che la sera prima ti ha mandato simpaticamente la foto dei suoi pass per l’ingresso alla festa di Radio Deejay dove lui andrà e tu no, le nostre conversazioni sembrerebbero dei collegamenti televisivi Terra-Stazione Spaziale.
Ma sai anche con assoluta certezza che il microfono non lo faresti roteare come il capitano Samantha Cristoforetti in uno dei suoi 3543654 collegamenti televisivi dove ormai sembra più un Monciccì che un’esimia scienziata. No, questo è certo.
Ma sempre simpaticamente…

Un giorno per caso ti svegli e dopo esserti cullata per qualche minuto nel ricordo del sogno appena fatto realizzerai che non c’è niente da fare, ma il tuo personaggio di fantasia preferito rimane il tuo solo e unico fidanzato immaginario Numero Uno: nella notte ti ha mandato 2 pass con free drink per la festa della radio e un biglietto autografo con la scritta ‘Ti aspetto’.
Ma, mentre stai facendo colazione, dopo il terzo caffè, mentre il sogno comincia a svanire e tu sai che NON andrai alla festa della radio perché non hai i biglietti, realizzerai che se ‘i sogni son desideri’ la frase marzulliana ‘la vita è un sogno e il sogno è vita’ è… una gran ca.ata!

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[Selfie d’autore, passando per autoscatto e foto]

Un pomeriggio per caso, dopo la solita pennica post prandiale, decidi di andare da Misano a Riccione in bici per smaltire un po’ di calorie e assistere agli eventi della giornata.
Hai scoperto che intorno alle 17.00 ci sarà l’Ice bucket Challenge di Alessandro Cattelan a favore della raccolta fondi per la SLA, dietro Viale Ceccarini, nella nuova postazione di Radio Deejay, e non te lo vuoi perdere. Arrivi appena in tempo per vederlo mentre la moglie e la sua partner gli rovesciano addosso un secchio pieno di acqua e ghiaccio, immortalare la scena con un video straordinario e correre al sound check di Samuele Bersani che dovrebbe cominciare di lì a pochi minuti.
Vai sotto il palco e aspetti diligentemente che uno dei tuoi autori italiani preferiti arrivi e faccia la prova microfoni per il concerto delle 21.30. Sei sorpresa che Cattelan non lo abbia nominato, come staffetta ideale della giornata, visto che il concerto era parte delle iniziative estive della radio a Riccione, ma tant’è. Si vede che doveva essere così.
Il palco è vuoto: sono solo le 18. Forse è ancora dai suoi che sono di Cattolica: sarà andato a trovarli e ora sta finendo la sua birra; o forse loro hanno raggiunto lui e ora stanno ancora chiacchierando; o lui gli sta facendo ascoltare qualcosa di nuovo, qualcosa che inciderà a breve. O forse no.
Dopo qualche minuto entra un gruppo di musicisti che si sistemano ai loro posti e iniziano ad armeggiare con strumenti e microfoni. Qualcuno è proprio figo. Si baciano tutti, come se non si vedessero da mesi. La cosa ti sembra in effetti un po’ strana, ma forse hanno ragione gli americani quando ci prendono in giro e dicono che noi italiani gesticoliamo mentre parliamo e che ci baciamo sulle guance ogni volta che ci incontriamo.
Tutti provano qualche strumento o microfono. I fonici sono al lavoro. Ma di lui, il cantante, ancora neanche l’ombra.
Nell’attesa hai il tempo di osservare le persone sul palco e di realizzare che i musicisti sono uomini il cui concetto di pettinatura o di parrucchiere è quanto di più lontano si possa immaginare nella loro vita: codini, capelli legati, dreads, riccioloni, cappellini sono la norma. Il pettine, a quanto pare, no. Ma in fondo perchè dovrebbero? Non sono mica dei colletti bianchi!
Poi arriva lui, Samuele Bersani. Pantaloni cargo, maglietta blu mare, occhiali da sole con le lenti azzurrate, cappellino francese indossato all’inglese. Bel fisico. Abbronzato. Fa un giro sul palco. Parla coi musicisti. Col fonico. Col tecnico delle luci. E con l’omino col caschetto, l’unico che indossa la cintura degli attrezzi come se fosse un pistolero e che sta finendo gli ultimi ritocchi ai carrelli delle luci.
Bersani non canta e scende dal palco.
Ti chiedi perchè non canti. Lo segui con lo sguardo. Sta uscendo dalle transenne e si mette a chiacchierare con il pubblico. Nel frattempo sul palco fervono gli ultimi ritocchi. Qualcuno dei musicisti accenna qualche nota.
Lasci la tua postazione in prima fila e decidi di avvicinarti a Bersani. Guardi il gruppetto di folla intorno a lui. C’è di tutto: coppie, madri e figli, fidanzati, amiche, tante ragazze. Qualcuna lo bacia. Qualcuna gli fa firmare il cd. Lo faresti anche tu se avessi il CD, ma hai comprato Nuvola Numero Nove su itunes e non puoi farti firmare un album comprato su itunes. No, non puoi, mannaggia.
E non hai nemmeno voglia di farti fare un autografo sullo scontrino dei mojito della sera prima.
Si scattano le prime foto. Lui è disponibile. Si mette in posa con tutti, grandi e piccini.
Addirittura qualcuno si accorge di aver fatto la foto con gli occhi chiusi e gli chiede di rifarla. E lui ride.
Poi arriva una ragazzina che gli chiede un selfie. Lui ride ancora, ma non si sottrae.
Si scattano foto e selfie. Anche a te non dispiacerebbe una foto con lui. Dovrà essere ‘buona la prima’; non puoi permetterti di fargliela rifare: non sarebbe giusto. Osservi e studi una strategia. Poi, finalmente realizzi che si può fare.
Ti metti in fila. Hai gli occhiali. Decidi di tenerli. Così sei certa di non chiudere gli occhi e di avere un’espressione ebete. Lo guardi sorridendo. Lui accetta. Scatti. Anzi, auto-scatti. La posti su FB. In pochi minuti raggiungi i 20 likes. E sai che cresceranno di numero.
Lui saluta. Sale sul palco e infila tre chicche una dietro l’altra che ti lasciano senza fiato. Compresa la canzone scritta per Lucio Dalla e cantata straordinariamente bene con il vocalist alle sue spalle, Michele.
Anche quest’ultimo ti lascia senza fiato: canta benissimo e suona una marea di strumenti.
Non vedi l’ora che il vero concerto cominci. E torni in hotel pedalando di gran lena.
Dopo mangiato ti prepari e riparti alla volta di Piazzale Roma. Come ogni volta arrivi a pochi minuti dall’inizio del concerto, quando il pubblico si è già sistemato e non ti aspetti molti movimenti migratori in avanti.
Parti dal fondo e in pochi minuti finisci in prima fila, davanti alle transenne, vicino agli armadi della security che ormai ti conoscono e ti salutano. La tua tecnica supercollaudata non fallisce più. Magari si scontra con qualche intoppo non previsto, come ad esempio la tizia avvinghiata a catenaccio al fidanzato che copriva un corridoio d’accesso verso le transenne centrali, o il tizio puzzolentissimo che hai dovuto aggirare da lontano nonostante fossi ad un passo dall’obiettivo. Ma alla fine va tutto come previsto.
Il concerto è davvero straordinario e vederlo dalla prima fila fa aumentare il piacere: lui è bravissimo ed emozionato e, dopo un po’ di foto fatte con l’iphone, decidi di goderti lo spettacolo. Fino alla fine. Fino a quando, ai saluti finali, lui si fa fare una foto ricordo con tutto il pubblico di Piazzale Roma.
Dice che odia la parola ‘selfie‘.
Dice che preferisce la parola ‘autoscatto‘. Ma quello non è un autoscatto. È una foto, visto che gliela sta facendo uno dei musicisti.
E un po’ ti dispiace che l’unica cosa che gli hai chiesto incontrandolo per la prima (e forse unica) volta sia stata:
– Possiamo farci un selfie?
Se avessi saputo che odiava quella parola gli avresti detto:
‘Ti metti in posa con me?’ oppure
‘Ci facciamo una foto?’ oppure
– ‘Possiamo farci uno scatto insieme?’Anche se selfie in fondo non è una parola così terribile, dai!
Per te invece selfie è ok. É la lingua che cambia. Che prende una parola vecchia e rumorosa (autoscatto) e la trasforma in qualcosa di nuovo, di liquido, che non ha suono, personale (selfie)… Ti piace!
Chissà perchè ci sono persone che si ostinano a voler rimanere attaccate agli autoscatti. E che si fanno fare una foto e la chiamano autoscatto per non chiamarla selfie!
Ma chissenefrega!
Tu hai il tuo selfie con Samuele Bersani e lui ha il suo finto autoscatto sulla Piazza di Riccione dove ha appena finito di cantare.
Bel concerto.
E siete tutti felici.

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